L’accusa rivolta ad un umo di percepire canoni di locazione in nero integra il reato di diffamazione?
La vicenda giudiziaria origina dall’invio di una missiva all’amministratore di condominio con cui si denunciava che la società proprietaria di uno degli immobili aveva percepito differenti canoni di locazione in nero.
Il conduttore, autore della comunicazione, veniva tratto a giudizio e condannato con sentenza, confermata in appello, per il reato di diffamazione ex art. 595 c.p..

L’imputato, non condividendo le motivazione del giudice di Appello, adiva la Suprema Corte di Cassazione sollevando plurimi motivi di censura:
1) intempestività della denuncia/querela;
2) assenza della comunicazione a più destinatari;
3) carenza di prova circa l’elemento soggettivo del reato.
La Suprema Corte ha accolto il terzo motivo del ricorso evidenziando che la sussistenza di rapporti conflittuali tra le parti che, peraltro, ha dato luogo ad un giudizio civile, comprova che l’imputato intendesse soltanto denunciare un comportamento delle persone offese apertamente lesivo di disposizioni civili e tributarie.
La condotta, pertanto, non era sorretta dall’intenzione di offendere la reputazione di queste ultime.
Sul punto, di recente, si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 22335/2025.
La risposta è, quindi, negativa.