Revenge porn e problemi di configurabilità

Il caso scelto per la rubrica Dialoghi Penali e deciso dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 11743/2025 offre l’occasione per approfondire un aspetto peculiare del reato di revenge porn, disciplinato dall’art. 612 ter c.p.

La disposizione, introdotta dalla L. n. 69/2019, sanziona la condotta di divulgazione non consensuale di immagini o video sessualmente espliciti.

Il legislatore ha inteso tutelare la libertà di autodeterminazione della persona, l’onore, il decoro, la reputazione, la privacy, nonché l’”onore sessuale” della singola persona.

Il reato è procedibile a querela della persona offesa, che ha sei mesi di tempo per presentarla.

La remissione può essere soltanto processuale. Si procede d’ufficio nei casi di cui al quarto co. dell’art. 612 ter c.p. e, quindi, se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di infermità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

Fermo quanto precede, la Suprema Corte ha vagliato il ricorso proposto da un imputato condannato per il reato ex art. 612 ter c.p. con sentenza confermata dalla Corte di Appello di Milano.

Contro la decisione è stato proposto ricorso per Cassazione per plurimi motivi.

Con il primo motivo, il ricorrente ha censurato la sentenza di condanna rilevando che le foto, delle quali non si contestava il contenuto sessualmente esplicito, non ritraevano la persona offesa. Mancava, nella sostanza, la prova che le predette fossero riferibili alla querelante.

La Corte ha dichiarato inammissibile la censura, evidenziando che la sentenza con argomentazioni logiche ha ricostruito il rapporto intercorso tra l’imputato e la persona offesa, nonché la riferibilità delle foto a quest’ultima.

Inoltre, ha osservato che, anche ove non fosse stata accertata la riconoscibilità della persona le cui parti intime erano ritratte, il delitto sarebbe stato comunque integrato.

La decisione ha rimarcato che la fattispecie penale in esame è collocata nell’ambito di quelle poste a tutela della libertà morale individuale ed è diretta alla protezione della sfera di intimità e della privacy, intesa quale diritto a controllare l’esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un’ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale, che deve ricevere una protezione assoluta, che prescinde dalla concreta riconoscibilità da parte dei destinatari del video o delle immagini della persona le cui parti intime siano rappresentate.

Pubblicato da Fabio Torluccio

Mi chiamo Fabio Torluccio e sono un avvocato penalista Salerno. Iscritto all'albo degli avvocati dal 2014 e mi occupo di difesa penale e consulenza no profit.

Lascia un commento