La vicenda vede protagonisti i titolari di una libreria che sistematicamente convertivano in denaro il c.d. Bonus Cultura di migliaia di diciottenni che erano ben felici di poter disporre liberamente di una somma in contanti.
L’attività truffaldina era ben organizzata e si basava sulla simulazione di acquisti mai compiuti, sul trasferimento indebito dei bonus o dei voucher validati dall’avente diritto all’intermediario e da questi al simulato fornitore, sull’attestazione falsa da parte di questi di aver ceduto dei libri ai titolari del bonus, sull’inserimento della relativa dicitura nella piattaforma, sulla ripartizione dei proventi nelle percentuali pattuite.
La Suprema Corte di Cassazione ha dovuto vagliare se le condotte descritte nella parte che precede potessero integrare il reato di truffa aggravata ex art. 640 bis c.p. ovvero l’illecito amministrativo di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316 ter co.2 c.p.
La disposizione da ultimo citata ha natura residuale rispetto al reato di truffa e punisce le condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate dal silenzio antidoveroso, da false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione delle somme non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perché in realtà si rappresenta solo l’esistenza della formale attestazione del richiedente.
La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 37661/2023 ha osservato che nella vicenda de qua le complesse attività realizzate per la conversione in denaro del Bonus cultura, simulando l’acquisto di beni e servizi consentiti dalla legge da parte di soggetti accreditati, certamente integrano la fattispecie della truffa, attesa la presenza di plurimi raggiri e artifici posti in essere dagli autori del reato, idonei ad indurre in errore l’ente erogatore.