Il tema di cui oggi voglio parlarvi anima da tempo le aule di giustizia.
La domanda giudiziale di risarcimento dei danni subiti a causa di malattia (epatopatia HCV) contratta in seguito ad emotrasfusione, eseguita in ospedale, impone differenti considerazioni in tema di riparto dell’onere della prova.
Il paziente danneggiato per ottenere una pronuncia di accertamento della responsabilità della struttura sanitaria dovrà provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e, infine, allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato.
La struttura sanitaria, invece, per ottenere una decisione di rigetto della domanda proposta dal paziente, dovrà dimostrare che alcun inadempimento vi è stato o che comunque non ha determinato alcun danno al paziente.
Infine, potrà andare esente da responsabilità, dimostrando che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa ad essa non imputabile.
Di recente, con la sentenza n. 26091/2023, la Suprema Corte di Cassazione ha affrontato un caso spinoso in tema di emotrasfusioni, cassando la pronuncia di merito che aveva escluso la responsabilità della struttura sanitaria.
Invero, il giudice di merito aveva rigettato la richiesta di risarcimento in favore del paziente in quanto quest’ultimo non aveva dimostrato il nesso di causalità tra comportamento del sanitario e danno lamentato.
Il Supremo Consesso, come anticipato, ha censurato la decisione, osservando che l’onere di dimostrare l’insussistenza del nesso di causalità grava sulla struttura.
Nello specifico, la decisione ha evidenziato che la responsabilità della struttura sanitaria può venir meno soltanto se la stessa dimostri che l’infezione del paziente è stata contratta altrove e che le procedure di acquisizione e perfusione del plasma sono state conformi alla normativa di settore.