Prima di presentarvi il caso affrontato dal Supremo Consesso con la sentenza n. 31729/2023, è opportuno delineare i caratteri peculiari del reato di diffamazione disciplinato dall’art. 595 c.p.
Gli elementi costitutivi del reato sono tre:
- offesa all’altrui reputazione;
- assenza dell’offeso;
- comunicazione a più persone;
Per reputazione si intende l’integrità morale della persona che può essere lesa da espressioni offensive percepite, come previsto dalla disposizione in esame, anche da soggetti terzi. E’ peraltro necessario che l’offeso non sia presente. E’ intuibile che il soggetto agente deve agire con l’intenzione di offendere, in quanto, diversamente, non sarà integrato l’elemento soggettivo del reato.
Il dolo è generico, essendo sufficiente la mera percezione, rapportata all’uomo medio, della capacità offensiva delle espressioni adoperate, anche senza specifica intenzione di offendere l’altrui reputazione, con la volontà di usare espressioni offensive nella consapevolezza (anche implicita) della loro astratta idoneità a ledere l’altrui reputazione, concretatasi nella coscienza e volontà dell’azione diffamatoria.
La vicenda decisa dal Supremo Consesso si è verificata all’interno di un contesto aziendale.
Una dipendente ha inviato un’ e-mail al capo e ai superiori sostenendo che il primo avesse dimostrato con scelte errate la propria inefficienza e la mala gestio nella conduzione di un impianto di carburante.
Nello specifico, nel corpo della comunicazione veniva riportato “…purtroppo lei e il suo staff, con incoscienza, avete continuato imperterriti a sottovalutare i più elementari adempimenti“.
In primo grado veniva emessa sentenza di condanna confermata dal giudice di appello per il reato di diffamazione, atteso che le espressioni contenute nella e-mail venivano considerate particolarmente offensive.
Al contempo, i giudici non riconoscevano la condotta scriminata (esclusione dell’antigiuridicità della condotta) dal legittimo esercizio del diritto di critica ex art. 51 c.p. per la veemenza e intensità delle espressioni utilizzate.
Affinché possa ricorrere la scriminante del diritto di critica sono richiesti tre elementi:
- veridicità dei fatti;
- pertinenza degli argomenti;
- continenza espressiva;
Se i primi due concetti sono di facile comprensione, occorre soffermarci sul terzo, anche perché la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso ritenendo che la condotta non abbia superato i limiti della continenza espressiva.
La continenza sostanziale, o “materiale”, attiene alla natura e alla latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all’interesse pubblico alla comunicazione o al diritto-dovere di denunzia: essa si riferisce, dunque, alla quantità e alla selezione dell’informazione in funzione del tipo di resoconto e dell’utilità/bisogno sociale di esso.
La continenza formale attiene, invece, al modo con cui il racconto sul fatto è reso o il giudizio critico esternato, e cioè alla qualità della manifestazione: essa postula, quindi, una forma espositiva proporzionata, “corretta” in quanto non ingiustificatamente sovrabbondante al fine del concetto da esprimere.
Questo significa che le modalità espressive attraverso le quali si estrinseca il diritto alla libera manifestazione del pensiero, con la parola o qualunque altro mezzo di diffusione, di rilevanza e tutela costituzionali (ex art. 21 Cost.), postulano una forma espositiva corretta della critica – e cioè astrattamente funzionale alla finalità di disapprovazione – senza trasmodare nella gratuita e immotivata aggressione dell’altrui reputazione.
La Suprema Corte nell’accogliere il ricorso proposto dall’imputata ha osservato che nello scrutinio diretto della continenza si deve tener conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare sei i toni usati dall’agente, pur se aspri, forti e sferzanti, non siano gratuiti e immotivatamente aggressivi dell’altrui reputazione, ma siano, invece, pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere.
Nel caso di specie, il tenore della mail redatta dall’imputata non appare aver superato tali limiti, dal momento che le espressioni usate, sia pur fortemente critiche nei confronti della persona offesa, non sono scurrili o offensive; esse piuttosto appaiono tese a criticare la gestione dell’amministratore, evidenziando quelle che erano delle marcate inadempienze nella gestione del distributore, mettendone a conoscenza i superiori.