Sospensione con messa alla prova e illecito edilizio: l’eliminazione delle conseguenze dannose del reato è elemento costitutivo?

L’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova è stato introdotto dalla L. n. 67/2014, a seguito della condanna del nostro paese pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo (sentenza Torreggiani c. Italia) per il sovraffollamento carcerario.

La misura, secondo quanto previsto dall’art. 168 bis c.p., si applica i reati con pena edittale fino a 4 anni di reclusione sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria nonché a quelli indicati analiticamente al secondo co. dell’art. 550 c.p.p. ovverosia alle fattispecie penali per le quali è prevista la citazione diretta a giudizio.

L’imputato può, anche mediante il proprio difensore di fiducia purché munito di procura speciale, chiedere al giudice la sospensione del procedimento penale con affidamento al servizio sociale per svolgere un’attività di volontariato presso una struttura, da individuarsi di concerto con l’UEPE.

Inoltre, il secondo co. dell’art. 168 bis. c.p. prevede oltre allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità anche la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato.

Lo svolgimento con esito positivo del periodo di messa alla prova e l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato consentono all’imputato di ottenere una pronuncia di estinzione del reato.

La misura è preclusa ai delinquenti abituali, professionali e per tendenza; può invece essere richiesta dai recidivi.

La riforma Cartabia ha ampliato l’ambito di applicazione della messa alla prova, senza modificare il limite di pena fissato dall’ art. 168 bis c.p.

Quanto alla natura dell’istituto, è mista dal momento che se l’art. 168 bis c.p. individua le condizioni oggettive e soggettive di applicabilità, già evidenziate nella parte che precede, l’art. 464 bis c.p.p. affida al giudice il potere di stabilire il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie devono essere adempiuti; termine che può essere prorogato, su istanza dell’imputato, per non più di una volta e solo qualora ricorrano gravi motivi.

Ferme tali premesse necessarie alla comprensione dell’istituto, occorre rilevare che l’obiettivo della sua introduzione è quello di ridurre la presenza di condannati negli istituti penitenziari e, al contempo, di contenere il numero dei procedimenti penali pendenti davanti all’Autorità Giudiziaria.

Passiamo ora rapidamente al caso affrontato di recente dalla Suprema Corte di Cassazione che ha fornito l’occasione per esaminare uno dei cardini dell’istituto.

Il Supremo Consesso con la sentenza n. 32454/2023 si è interrogato sulla rilevanza dell’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato prevista dal secondo co. dell’art. 168 bis c.p. con riferimento alla contestazione dei reati di violazione di sigilli ex art. 449 c.p. e abuso edilizio ex art. 44 del D.P.R. n. 380/2001.

La pronuncia ha rilevato che per ritenersi raggiunto l’esito positivo della misura e, quindi, possa dichiararsi l’estinzione del reato per cui si procede, è necessario che l’imputato abbia posto in essere condotte riparatorie volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato.

Nel caso in esame, il giudice, avendo rilevato il mancato ripristino dello stato dei luoghi e/o il mancato rilascio di una sanatoria, ha ritenuto di dover escludere una prognosi favorevole circa l’astensione da parte dell’imputato dalla commissione di reati della stessa tipologia di quelli accertati.

Ne discende che all’interno della misura esaminata le condotte riparatorie sono sicuramente centrali.

Pubblicato da Fabio Torluccio

Mi chiamo Fabio Torluccio e sono un avvocato penalista Salerno. Iscritto all'albo degli avvocati dal 2014 e mi occupo di difesa penale e consulenza no profit.

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