La Suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 31768/2022 ha affrontato la tematica degli indici in materia di sostanze stupefacenti o psicotrope, che consentono di appurare se il fatto commesso sia di lieve entità e, quindi, ricada nella previsione di cui all’art. 73 co. 5 del D.P.R. n. 309/1990.
L’art. 73 co. 5 disciplina una fattispecie autonoma che punisce gli stessi fatti descritti al primo co., (coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I…) ma connotati da una ridotta capacità offensiva, contemplando un trattamento sanzionatorio più mite – da sei mesi a quattro anni di reclusione e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.
Le pene previste per l’ipotesi più grave di cui al co. 1, invece, sono comprese fra i sei e i venti anni di reclusione oltre alla multa da euro 26.000 a euro 260.000.
Il riconoscimento della lieve entità presuppone un’analisi degli indici che seguono: i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze.
La giurisprudenza indica la necessità di operare un vaglio unitario dei predetti al fine di accertare se la condotta in contestazione possa essere ricondotta nella fattispecie di cui al co. 1 o al 5 del D.P.R. n. 309/1990.
Il caso affrontato con la pronuncia riguardava un uomo trovato con 14 dosi di cocaina per un peso complessivo di 16,7 grammi. La Corte di Appello confermava la condanna pronunciata in primo grado, ritenendo integrato il reato di cui all’art. 73 co. 1 e negando, al contempo, la sussistenza dei presupposti per la sussumibilità della condotta nella fattispecie meno grave.
Secondo la Corte di Appello l’applicabilità del fatto di lieve entità era da escludersi in quanto l’imputato era uno spacciatore e non disponeva di altri mezzi di sussistenza.
La pronuncia di condanna veniva impugnata e censurata in quanto carente nella parte destinata al vaglio degli indici richiamati dall’ art. 73 co. 5.
Secondo la giurisprudenza gli indici per qualificare un fatto di lieve entità elencati dal comma 5 dell’art. 73 non possono, da un lato, essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo od escludendo la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri e, dall’altro, non è richiesta la loro esistenza cumulativa, in senso positivo ovvero negativo.
Il percorso tracciato dal legislatore impone di considerare, infatti, anche la possibilità che tra gli stessi si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione, in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie (Cass. Penale n. 167/1992).
La Suprema Corte ha riconosciuto il ricorso meritevole di accoglimento in quanto la sentenza aveva escluso la riconducibilità del fatto alla fattispecie di cui al 5 co. additando all’imputato lo status di spacciatore, ma senza specificare in alcun modo gli elementi comprovanti l’entità dell’attività di spaccio della quale lo stesso farebbe parte, e quindi quanto la sua condotta di cessione di droga di cui all’imputazione potesse concretamente contribuire alla diffusione nel mercato di sostanza stupefacente. Invero, anche se in presenza di una sola cessione è ben possibile desumere un’abitualità della condotta, o l’esistenza di un’organizzazione dedita allo spaccio, l’ampiezza della stessa deve essere oggetto di specifica motivazione, e risultare dagli elementi di prova presenti agli atti.
La pronuncia di annullamento con rinvio ha evidenziato peraltro che la sussistenza di precedenti non specifici, non può rilevare ai fini della qualificazione del fatto, ma soltanto ai fini dell’eventuale giudizio di pericolosità sociale alla base della recidiva.