Aggressioni in famiglia: il discrimine tra il reato di stalking e quello di maltrattamenti.

La Suprema Corte di Cassazione con un recente arresto (Cass. Penale 32575/2022) è tornata sul rapporto tra il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi ex art. 572 c.p. e quello di stalking nella forma aggravata ex art. 612 bis co. 2 c.p.

Il caso riguardava un uomo ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 572 co. 1 e 2, 582, 585, 576 e 612 cpv c.p. per avere, in plurime occasioni, anche dopo la sentenza di divorzio, posto in essere comportamenti violenti a danno dell’ex coniuge.

La Suprema Corte di Cassazione adita si è trovata a vagliare se le condotte aggressive potessero essere inquadrate nel reato di stalking nella forma aggravata, fattispecie connotata da un trattamento sanzionatorio più mite rispetto a quella di maltrattamenti contestata.

Per comprendere la pronuncia occorre, preliminarmente, esplorare le due fattispecie, evidenziandone gli elementi di comunanza e quelli che le differenziano.

La fattispecie codificata all’art. 572 c.p. sanziona una condotta abituale connotata da una pluralità di atti lesivi dell’integrità fisica e psichica del soggetto passivo che acquisiscono rilevanza per la loro reiterazione nel tempo. Il reato deve essere commesso all’interno di un contesto familiare, nell’ambito di un rapporto di convivenza e, infine, in quelle situazioni, come ad esempio la scuola o l’ambiente di lavoro che prevedono una relazione di assistenza e supporto.

Lo stalking o atti persecutori ex art. 612 bis c.p. sanziona comportamenti reiterati di minaccia e molestia che abbiano cagionato uno degli tre eventi previsti dal codice e in particolare: a) perdurante e grave stato di ansia o paura; b) fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata al medesimo da relazione affettiva; c) alterazione delle abitudini di vita.

La fattispecie di cui al secondo co. dell’art. 612 bis c.p. invocata dal ricorrente sanziona con una pena più grave rispetto a quella prevista dal primo co. (da anni 1 a anni 6 e mesi 6 di reclusione) le condotte di stalking commesse a danno del coniuge, anche separato o divorziato o da persona che è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

Emerge, quindi, che la condotta dell’odierno ricorrente potrebbe integrare, in astratto, entrambi i reati, senza dimenticare però la clausola di sussidiarietà presente nel primo co. dell’ art. 612 bis c.p.

Tuttavia, la giurisprudenza, con diverse pronunce, ha ribadito che, dopo una pronuncia di divorzio, se non segue la ricomposizione della relazione, la condotta dovrà essere sussunta nel reato di stalking, ex art. 612 bis co. 2 c.p.

La cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale esclude la configurabilità del reato di maltrattamenti che, come detto, presuppone, la perpetrazione di atti violenti all’interno di un contesto familiare.

In forza di quanto esposto, la Suprema Corte di Cassazione ha riqualificato il reato in quello di atti persecutori, annullando la sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad una diversa sezione della Corte di Appello.

Pubblicato da Fabio Torluccio

Mi chiamo Fabio Torluccio e sono un avvocato penalista Salerno. Iscritto all'albo degli avvocati dal 2014 e mi occupo di difesa penale e consulenza no profit.

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