Emissioni odorigene: lo stretto legame tra Testo Unico Ambientale e Codice Penale…

La pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n. 20204 del 21 Maggio 2021 contiene una precisa disamina della disciplina delle “emissioni odorigene” provocate, nel caso specifico, con la ricezione, il trattamento e la custodia di fanghi da depurazione.

La definizione di “emissioni odorigene” è rinvenibile all’art. 268 co.1 del d. lgs n. 152/2006 che indica come tali le emissioni convogliate o diffuse aventi effetti di natura odorigena.

L’art. 272 bis, in assenza di una disciplina statale, assegna un ruolo decisivo alle Regioni e alle singole autorizzazioni in quanto demanda loro la facoltà di prevedere misure per la prevenzione e limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti.

La disposizione in esame richiama peraltro la nozione di autorizzazione rimandando, pertanto, all’autorizzazione per le emissioni in atmosfera di cui all’art. 269.

Ferme tali premesse occorre rintracciare nel Testo Unico Ambientale le disposizioni che sanzionano la violazione delle prescrizioni di natura odorigena.

In primis l’art. 279 co. 2 bis prevede che “chi viola le prescrizioni stabilite dall’autorizzazione, dagli allegati I, II, III o V alla Parte Quinta, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorità competente è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 10.000 euro, alla cui irrogazione provvede l’autorità competente”.

Laddove, invece, le emissioni odorigene siano oggetto di specifiche prescrizioni imposte con l’AIA, dovrà farsi riferimento all’impianto sanzionatorio previsto dall’art. 29-quaterdecies co. 2 secondo che commina “la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 euro a 15.000 euro nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’autorità competente“.

La prova di emissioni odorigene, secondo i più recenti arresti della Suprema Corte, può essere fornita sia mediante esami di laboratorio, sia attraverso le dichiarazioni di chi è costretto per la vicinanza all’impianto a respirare gli odori nauseabondi, purché le testimonianze siano scevre di valutazioni personali.

Le fattispecie disciplinate dal Testo Unico Ambientale potrebbero concorrere con la contravvenzione prevista dall’art. 674 c.p., in quanto differiscono sia per il bene tutelato, nelle prime l’ambiente, mentre in quest’ultima l’incolumità pubblica, sia perché dirette a sanzionare condotte differenti.

Difatti, l’art. 674 c.p. sanziona le condotte consistenti nel getto di cose o nel provocare emissioni di gas, vapori e fumi atti ad offendere o molestare le persone, mentre le fattispecie suindicate apprestano determinate cautele e impongono il rispetto delle prescrizioni e limiti indicati dalla legge e dagli atti abilitativi.

La disposizione prevista dal c.p. è costruita secondo lo schema del reato di pericolo e, pertanto, diretta a realizzare una tutela anticipata del bene giuridico, prevenendo esiti pericolosi o dannosi conseguenti al getto o al versamento di cose atte ad offendere.

La norma ha l’obiettivo di contemperare due contrapposti interessi: da un lato, quello dell’incolumità pubblica e, dall’altro, quello di natura economica, discendente dall’esercizio di un’attività produttiva.

Il criterio da seguire per verificare se le emissioni possano integrare l’ipotesi contravvenzionale è stato individuato in quello della tollerabilità delle stesse, che diventa di “stretta tollerabilità” se l’impianto non ha le necessarie autorizzazioni, mentre segue il criterio di “normale tollerabilità” se, diversamente, le predette sono presenti.

Pubblicato da Fabio Torluccio

Mi chiamo Fabio Torluccio e sono un avvocato penalista Salerno. Iscritto all'albo degli avvocati dal 2014 e mi occupo di difesa penale e consulenza no profit.

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