La questione giuridica affrontata, di recente, dalla Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia n. 27199/2022 vede protagonisti due comproprietari di diversi immobili ad uso residenziale, chiamati a rispondere del reato di cui all’art. 44 lett. c) del D.P.R. n. 380/2001 per aver realizzato alcuni interventi non autorizzati all’interno di uno degli appartamenti di proprietà.
L’ art. 44 del D.P.R. n. 380/2001 prevede che, salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica:
a) l’ammenda fino a 10.329 euro per l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire;
b) l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 5.164 a 51.645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione;
c) l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 15.493 a 51.645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell’ art. 30. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso”.
Sia in primo grado che in appello i comproprietari, fratello e sorella, venivano ritenuti responsabili del reato ex art. 44 lett c.
La sorella, che chiameremo Carla, adiva la Suprema Corte di Cassazione sostenendo che la pronuncia di appello era censurabile in quanto non conteneva la prova di una partecipazione della predetta alla realizzazione degli interventi e/o opera abusive, avendo soltanto dimostrato la qualità di comproprietaria degli immobili. Inoltre, Carla, a sostegno della propria tesi, evidenziava che non aveva neanche la residenza nell’immobile in cui erano stati eseguiti gli interventi non assentiti.
La ricorrente richiamava alcune pronunce del Supremo Consesso secondo le quali il proprietario “estraneo” può essere ritenuto responsabile del reato edilizio, purché risulti un suo contributo soggettivo all’altrui abusiva edificazione da valutarsi secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato, non essendo sufficiente la semplice connivenza. Il concorso nel reato, morale o materiale, deve assumere la forma di contributo alla realizzazione dell’ipotesi delittuosa, diversamente il comproprietario “estraneo” non potrà essere chiamato a rispondere del reato.
Tuttavia, dalle prove raccolte dall’accusa emergeva la presenza, al momento del sopralluogo operato dai Carabinieri, di Carla che, peraltro, secondo quanto riferito da un testimone aveva partecipato alla direzione di alcuni interventi minori.
Le risultanze emerse, pertanto, sconfessavano la tesi della ricorrente, inducendo il Collegio adito ad emettere una pronuncia di inammissibilità del ricorso.