Omissione di soccorso e obbligo di assistenza…

Questa sera i miei occhi sono stati colpiti da una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (n. 20039/2022) che ha illustrato, in modo chiaro, gli elementi costitutivi del reato di omissione di soccorso ex art. 189 co. 7 del del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285.

La disposizione in esame prevede che “chiunque nelle condizioni di cui al comma 1, non ottempera all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite, è punito con la reclusione da un anno a tre anni. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo non inferiore ad un anno e sei mesi e non superiore a cinque anni, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI”.

Il richiamo al co. 1 dell’art. 189 è determinante in quanto consente di rilevare che l’obbligo di assistenza non ricade soltanto sul responsabile del sinistro, bensì su chiunque si trovi coinvolto in un incidente, come desumibile dall’espressione “in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento”.

Difatti, la giurisprudenza ritiene che il soggetto coinvolto nel sinistro ricopra una posizione di garanzia a tutela degli altri utenti coinvolti dal pericolo derivante da un ritardato soccorso. Il dovere di assistenza non può ricadere soltanto sul responsabile del sinistro, in quanto quest’ultimo potrebbe coincidere con il soggetto che necessita l’assistenza che, peraltro, deve essere intesa in senso ampio e, pertanto, non può essere limitata al soccorso sanitario.

Ferme queste premesse, occorre evidenziare che, nel caso affrontato dal Supremo Consesso, l’imputato era stato dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 189 sia in primo grado sia in appello, in quanto alla guida di un’autovettura aveva operato una inversione di marcia costringendo un motociclista che, si trovava sulla corsia opposta, ad effettuare una repentina manovra per evitare l’impatto. Quest’ultimo non riuscendo a controllare il motociclo aveva impattato un’altra vettura che proveniva nell’altra carreggiata.

A seguito dell’urto il motociclista rovinava a terra.

Il responsabile del sinistro, come riferito da diversi testimoni, si era fermato avvicinandosi al motociclista, ma pochi minuti dopo era ripartito senza attendere l’arrivo dell’ambulanza.

La Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia suindicata ha confermato la sentenza di condanna emessa in appello, osservando che il dovere di assistenza ha un contenuto ampio dal momento che non vi rientra soltanto il soccorso sanitario, bensì ogni tipo di aiuto che le circostanze richiedano.

Nel caso affrontato è pur vero che il ricorrente si era fermato, ma non aveva prestato alcuna forma di aiuto, né si era sincerato che altri avessero soccorso il conducente del motociclo fornendo adeguata assistenza.

Pubblicato da Fabio Torluccio

Mi chiamo Fabio Torluccio e sono un avvocato penalista Salerno. Iscritto all'albo degli avvocati dal 2014 e mi occupo di difesa penale e consulenza no profit.

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