La mera detenzione di stupefacenti è sufficiente a dimostrare la finalità di spaccio?

Con una recente pronuncia (Cass. Penale n. 16810/2022) la Suprema Corte di Cassazione ha risposto al quesito che segue: la prova della finalità di spaccio è desumibile dal quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dall’ art. 73 del D.P.R. n. 309/90?

Prima di rispondere al quesito, occorre premettere che i protagonisti della vicenda giudiziaria esaminata dalla Suprema Corte di Cassazione sono due ragazzi arrestati a seguito di una perquisizione, in quanto trovati nel possesso di marjuana, hashish e cocaina. Condannati in primo grado per il reato ex art. 73 del D.P.R. n. 309/90, la sentenza veniva riformata dalla Corte di Appello di Roma che assolveva uno dei due appellanti.

Luca, nome di fantasia, decideva di ricorrere davanti alla Suprema Corte di Cassazione, rilevando che la pronuncia non aveva dimostrato che il quantitativo di stupefacente rinvenuto fosse destinato allo spaccio. Sosteneva, difatti, che il possesso di un bilancino di precisione costituirebbe elemento oltremodo equivoco, assolutamente non degno di considerazione, in quanto si tratterebbe di un normale bilancino elettronico uso-cucina rinvenibile presso ogni famiglia e come tale non fruibile per l’uso che la Corte ha ritenuto apoditticamente ne facesse il ricorrente. Evidenziava, altresì, che il quantitativo complessivamente cospicuo dello stupefacente (grammi 6,6 di cocaina e grammi 67,5 di marijuana) è indicato in assenza di una valutazione tecnico-scientifica sul dato. Infine, sosteneva che la modestia degli introiti dell’attività del condannato, le cui condizioni soggettive consentirebbero di ritenere tranquillamente assente la volontà di incrementare i propri introiti attraverso la cessione della droga, ben potevano escludere la finalità di spaccio.

In relazione al quantitativo di stupefacente, rileva la Suprema Corte che in tema di sostanze stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto e l’eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dall’ art. 73 del D.P.R. n. 309/1990 non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi se, assieme al dato quantitativo, le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione. Allo stesso tempo, il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dal D.P.R. n. 309/1990, se da solo non costituisce prova decisiva dell’effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, può comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale conclusione.

Conclude la sentenza che il considerevole numero di dosi ricavabili, ben può essere ritenuto un indizio della destinazione della droga ad un uso non esclusivamente personale e, se è accompagnato da altri elementi (il possesso del bilancino, la pluralità e diversità di sostanze detenute, la sproporzione tra le possibilità economiche dell’imputato ed una siffatta scorta) costituire valida motivazione per escludere l’utilizzo dello stupefacente, in tutto o in parte, ad uso esclusivamente personale.

Mi dispiace per Luca ma la tesi difensiva non è stata accolta.

Pubblicato da Fabio Torluccio

Mi chiamo Fabio Torluccio e sono un avvocato penalista Salerno. Iscritto all'albo degli avvocati dal 2014 e mi occupo di difesa penale e consulenza no profit.

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