Falsa testimonianza e stato di necessità

La vicenda giudiziaria scelta per la rubrica Dialoghi Penali affronta il rapporto tra il reato di falsa testimonianza ex art. 372 c.p. e la scriminante dello stato di necessità ex art. 54 c.p.

Una donna è stata tratta a giudizio per il reato di falsa testimonianza per aver dichiarato il falso nell’ambito di un giudizio penale a carico dell’ex convivente, chiamato a rispondere del reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p.

In udienza, chiamata a deporre come testimone, raccontava fatti differenti da quelli narrati all’interno della denuncia/querela versata in atti.

Le false dichiarazioni, come esposto, inducevano la procura ad esercitare l’azione penale nei confronti della persona offesa per il reato di falsa testimonianza ex art. 372 c.p.

In sede di giudizio abbreviato è stata condannata alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, pronuncia confermata dalla Corte di Appello.

L’imputata adiva la Suprema Corte di Cassazione, ritenendo la sentenza di condanna censurabile nella parte in cui non aveva riconosciuto la scriminante dello stato di necessità ex art. 54 c.p., dal momento che la falsa deposizione era dipesa dal timore di subire ritorsioni da parte dell’ex coniuge, soprattutto per l’affidamento della figlia, tenuto conto anche della presenza dell’imputato in aula al momento della sua escussione.

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 30592/2024 ha disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza.

Scopriamo insieme le argomentazioni che hanno portato alla decisione.

Occorre preliminarmente rilevare che la scriminante ex art. 54 c.p. ricorre a condizione che sussistano: 1) la necessità di salvare se stessi o altri da un pericolo attuale e non altrimenti evitabile; 2) un rapporto di proporzione tra il fatto e il pericolo medesimo.

La nozione di attualità del pericolo si identifica nel rapporto di assoluta immediatezza tra la situazione di pericolo e l’azione necessitata.

Il co. 4 dell’art. 59 c.p. prevede che la scriminante ricorre nella forma putativa allorquando le condizioni di attualità o inevitabilità del pericolo siano erroneamente supposte dall’agente, in base a fatti concreti relativi alla specifica situazione.

Ferme tali premesse, la Suprema Corte ha ritenuto integrati gli elementi dello stato di necessità putativo in forza delle circostanze che seguono: 1) la persona offesa non era stata escussa in forma protetta; 2) il breve lasso di tempo intercorso tra la data di commissione del reato di maltrattamenti e quella in cui veniva escussa; 3) le minacce subite dalla ricorrente.

Ebbene, i fatti indicati sono sati valorizzati dalla Suprema Corte per ritenere che la persona offesa si sia convinta di trovarsi in una situazione di pericolo, già vissuta durante la convivenza.

Apparentemente, potrebbe trovare applicazione anche la causa di non punibilità ex art. 384 c.p., ipotesi speciale di stato di necessità che, tuttavia, ricorre soltanto nell’ipotesi in cui l’agente abbia agito per salvare se stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore.

Ebbene, nel caso in esame, la protagonista, dichiarando il falso, voleva scongiurare possibili ritorsioni da parte dell’ex coniuge in ordine alla gestione della figlia e, pertanto, non risultava sussistente un nocumento nella liberà o nell’onore.

Pubblicato da Fabio Torluccio

Mi chiamo Fabio Torluccio e sono un avvocato penalista Salerno. Iscritto all'albo degli avvocati dal 2014 e mi occupo di difesa penale e consulenza no profit.

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