Il Pubblico Ministero che intimidisce la persona informata sui fatti può rispondere di tentata violenza privata?

Il tema odierno è scottante e, per una volta, il protagonista è il Pubblico Ministero, anzi si tratta di due procuratori della Repubblica imputati del reato di tentata violenza privata ex artt. 56-610 c.p. in quanto, in sede di escussione di tre persone informate sui fatti, avrebbero proferito nei loro confronti gravi e reiterate minacce.

I PM, nella sostanza, al fine di dimostrare l’esistenza di un accordo corruttivo tra gli imprenditori escussi e il Comandante della Polizia Municipale per l’aggiudicazione di appalti pubblici, avrebbero cercato di ottenere dai primi le risposte desiderate, evidenziando che, nel caso di mancata collaborazione, avrebbero rischiato la perdita della libertà personale o il sequestro dell’azienda.

Occorre rilevare che il reato di violenza privata sanziona la minaccia o la violenza che comportino la significativa riduzione della capacità di determinarsi e di agire secondo la volontà del soggetto passivo; questi subisce una pressione tale che è costretto a fare, tollerare ovvero omettere una specifica condotta.

Nel caso in esame non può sottacersi che il PM è garante della legalità della fase procedimentale e, pertanto, è il soggetto su cui incombe il dovere di osservare e far osservare la legge. E’ pur vero che il PM deve “ricercare la verità”, ma l’obiettivo va perseguito mediante gli strumenti processuali messi a disposizione dell’ordinamento.

Ferme tali premesse, i PM, seppure avessero ritenuto le dichiarazioni degli escussi non corrispondenti al vero, avrebbero potuto soltanto ammonirli circa le conseguenze di natura penale ricollegabili a comportamenti reticenti o ad affermazioni non veritiere, secondo quanto previsto dall’art. 371 bis c.p. che, peraltro, esclude la possibilità di disporre l’arresto.

Tuttavia, la minaccia appare ancora più grave in quanto posta in essere da un soggetto che ricopre un ruolo apicale ed è diretta nei confronti di individui che non hanno le competenze tecniche per valutarne la sua portata.

Inoltre, non può ritenersi scriminato (non punibile) il comportamento degli imputati che, secondo quanto riportato nei ricorsi proposti innanzi alla Suprema Corte di Cassazione, avrebbero agito nell’adempimento di un dovere ex art. 51 c.p., atteso che nel caso in esame hanno esercitato dei compiti in violazione delle stesse norme che disciplinano quel dovere.

La Suprema Corte di Cassazione, adita dai due pubblici ministeri, non ha accolto le plurime doglianze sollevate con i ricorsi, ritenendo pienamente integrato il reato di violenza privata nella forma tentata, dal momento che le minacce rivolte ai soggetti escussi, anche in considerazione delle condizioni ambientali, erano tali da incutere timore e suscitare la preoccupazione di subire effettivamente il danno minacciato. (Cfr. Cass. Penale – Sez. V n. 20365/2023)

Pubblicato da Fabio Torluccio

Mi chiamo Fabio Torluccio e sono un avvocato penalista Salerno. Iscritto all'albo degli avvocati dal 2014 e mi occupo di difesa penale e consulenza no profit.

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