La violazione della privacy può arrecare una lesione della sfera privata tale da legittimare la richiesta di risarcimento del danno, ma può integrare, al contempo, anche un reato.
Il caso in esame preso in esame riguarda l’installazione di alcune telecamere da parte del datore all’interno di un bagno aziendale in uso alle sue dipendenti. E’ bene precisare che alcuna registrazione veniva effettuata, tuttavia, la Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 17065/2022, ha ritenuto integrato il reato di interferenze illecite nella vita privata ex art. 615 bis c.p. nella forma tentata.
Il datore a seguito di condanna pronunciata in primo e secondo grado per il reato di cui all’art. 615 bis c.p. adiva il Supremo Consesso, sostenendo che la condotta contestata non poteva configurare il reato suddetto, in quanto il posizionamento non ottimale delle telecamere non consentiva la registrazione di alcuna immagine avente natura personale.
Si trattava secondo la difesa di una condotta inidonea (nozione riferita all’azione) e, pertanto, ricadente nell’alveo del reato impossibile ex art. 49 c.p..
La Suprema Corte di Cassazione, tuttavia, non ha accolto la tesi difensiva, rilevando che la predisposizione di telecamere non idonee alla registrazione per il non corretto posizionamento, integra il reato contestato, sebbene nella forma tentata, dal momento che la condotta deve essere valutata ex ante. L’installazione di telecamere funzionanti all’interno di un luogo privato è di sicuro un mezzo astrattamente idoneo a carpire immagini sensibili oltre che personali.
La configurabilità del reato impossibile presuppone diversamente un’inidoneità assoluta per insufficienza strumentale e strutturale del mezzo usato, tale da non consentire neanche in via eccezionale il risultato progettato.