Oggi parliamo di un fenomeno in forte ascesa che, sempre più spesso, si caratterizza per la commissione di condotte che vedono la partecipazione di soggetti stranieri.
Mi riferisco, andando subito al dunque, alla fattispecie penale di autoriciclaggio prevista dall’art. 648 ter1 c.p., che sanziona la condotta di colui che avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative, il denaro, i beni o le altre utilità proveniente dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolarne concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
La disposizione in esame è stata introdotta dall’art. 3 co. 3 della L. n. 186/2014; il reato è integrato da ogni condotta che sia idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro. Si tratta di un reato proprio dal momento che la persona che ha commesso il reato presupposto o ha concorso alla sua commissione è la stessa che porrà in essere le condotte di impiego, sostituzione o trasferimento dirette ad ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro.
Il caso affrontato dalla pronuncia della Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia n. 2868/2022 riguarda il trasferimento verso società estere, operanti nel settore delle criptovalute (bitcoin), di somme, conseguite attraverso lo svolgimento di un’attività di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, tramite bonifici in euro effettuati da carte Postepay intestate per lo più a soggetti prestanome e al ricorrente.
Quest’ultimo, persuaso della liceità dell’operazione, adiva la Suprema Corte di Cassazione per ottenere l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva disposto il sequestro preventivo per il reato di autoriciclaggio, sostenendo che il trasferimento delle somme non aveva il fine di “reinvestire” i proventi del reato presupposto ma di “acquistare” cripto valute che sarebbero servite per “pagare i servizi del sito internet che effettuava la pubblicità delle prostitute”. Mancava, quindi, l’intenzione e il compimento di azioni idonee ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa delle somme.
La Suprema Corte di Cassazione non ha accolto la tesi del ricorrente evidenziando che, “in tema di autoriciclaggio, l’intervenuta tracciabilità, per effetto delle attività di indagine poste in essere dopo la consumazione del reato, delle operazioni di trasferimento delle utilità provenienti dal delitto presupposto non esclude l’idoneità “ex ante” della condotta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
La pronuncia n. 2868 /2022 ha ritenuto che l’operazione di “trasferimento” effettuata dal reo servendosi di società estere, che effettuavano professionalmente il cambio della valuta, nella specie da euro in bitcoin, inserendo, pertanto, nel circuito economico-finanziario, gli euro di provenienza illecita poi utilizzati (“cambiati”) per l’acquisto di bitcoin, integrava compiutamente il reato di autoriciclaggio.
L’attività di cambio della valuta deve infatti essere attribuito carattere finanziario, tanto che in Italia essa è regolamentata dalla legge ed il soggetto che la esercita deve essere iscritto in appositi registri.