Il caso scelto per la rubrica “Dialoghi Penali” affronta il rapporto tra il reato ex art. 493 ter c.p. e la causa di non punibilità ex art. 649 c.p., vagliato dalla Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia n. 7651/2025.
La disposizione ex art. 493 ter c.p. , collocata nel titolo dedicato ai delitti contro la fede pubblica, sanziona l’utilizzo indebito da parte di chi non è titolare di carte di credito o di pagamento o di qualsiasi documento analogo, al fine di conseguire un ingiusto profitto.
Sono punite anche le condotte di falsificazione, alterazione, cessione e acquisto di strumenti o documenti suddetti, commesse con analoghe finalità.
La fattispecie penale intende salvaguardare sia il patrimonio del titolare della carta di credito o di pagamento sia la corretta circolazione del credito.
Il protagonista della vicenda giudiziaria approdata innanzi alla Suprema Corte di Cassazione è un ragazzo accusato di aver utilizzato, senza il necessario consenso, la carta di credito del padre, per effettuare un acquisto di soli trenta euro.
L’imputato, condannato in primo grado con sentenza confermata dalla Corte di Appello di Bologna, decideva di adire la Suprema Corte di Cassazione sollevando tre motivi di censura:
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Violazione di legge per la mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 649 c.p;
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Violazione di legge per la mancata applicazione della scriminante ex art. 50 c.p;
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Violazione di legge per il mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p.;
La Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La decisione contiene una puntuale e precisa analisi delle ragioni del diniego del riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 649 c.p., che può essere applicata, a talune condizioni, esclusivamente nei confronti degli autori dei reati che offendono il patrimonio, disciplinati all’interno del titolo XIII.
La delimitazione è già di per sé sufficiente ad escludere l’applicabilità della causa di non punibilità al reato previsto dall’art. 493 ter c.p. che, come esposto, è collocato in un titolo diverso ed è preposto anche alla tutela della corretta circolazione del credito.
La natura plurioffensiva del reato preclude anche la possibilità di riconoscere la scriminante del consenso ex art. 50 c.p. in quanto, pur volendo ritenere sussistente il consenso, quest’ultimo non può elidere la lesione del bene giuridico collettivo tutelato dalla disposizione.