La vicenda giudiziaria scelta per la rubrica “Dialoghi Penali” affronta il tema del riconoscimento dell’affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 della L. n. 354/1975 allo straniero extra-comunitario entrato illegalmente nel territorio dello Stato e privo del permesso di soggiorno.
La competenza sulle misure alternative alla detenzione è affidata al Tribunale di Sorveglianza e presuppone che il colpevole sia stato condannato con sentenza definitiva ad una pena per la quale non sia stato concesso il beneficio ex art. 163 c.p.
Tornando al caso vagliato dalla Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia n. 40131/2024, occorre rilevare, in via preliminare, che l’imputato era stato condannato, con sentenza irrevocabile, alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione in ordine ai reati di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanza stupefacente ex art. 73 del D.P.R. n. 309/1990.
Il difensore, tempestivamente, presentava al Tribunale di Sorveglianza di Brescia istanza di affidamento in prova al servizio sociale che, tuttavia, veniva respinta.
Contro la decisione veniva proposto ricorso per Cassazione in quanto la decisione risultava viziata, non avendo tenuto conto che l’istanza conteneva sia l‘indicazione di un domicilio che la dichiarazione di disponibilità di un datore di lavoro, presupposti necessari e indispensabili a fini del riconoscimento della misura alternativa.
Invero, il Tribunale di Sorveglianza emetteva una pronuncia di rigetto in quanto l’istante extracomunitario era entrato irregolarmente nel territorio dello Stato e, al contempo, era privo del permesso di soggiorno.
La Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso annullando la decisione del Tribunale di Sorveglianza con rinvio per un’altra valutazione dell’istanza.
Vediamo insieme le motivazioni della pronuncia.
L’affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 dell’Ord. Pen. è la principale misura alternativa alla detenzione destinata ad attuare una finalità rieducativa della pena ex art. 27 Cost..
L’esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale, ad eccezione delle pene accessorie perpetue.
Il Tribunale di Sorveglianza, qualora l’interessato si trovi in disagiate condizioni economiche e patrimoniali, può dichiarare estinta anche la pena pecuniaria che non sia stata già riscossa ovvero la pena sostitutiva nella quale sia stata convertita la pena pecuniaria non eseguita.
Può essere richiesta per condanne fino a 4 anni di reclusione e presuppone:
1) la presenza di un valido domicilio;
2) la dichiarazione di disponibilità di un datore o di un’associazione/ente per lo svolgimento di un’attività socialmente utile di tipo volontaristico;
3) un giudizio positivo sulla personalità del reo successiva alla commissione del reato nella prospettiva di un reinserimento sociale.
La Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata a favore del ricorrente aderendo ad un indirizzo, ormai consolidato, in forza del quale la presenza irregolare sul territorio dello Stato non è ostativa al riconoscimento della misura alternativa.
I motivi esposti, a sostegno del riconoscimento dell’affidamento in prova, sono diversi.
In primis, giova rilevare che all’interno dell’ordinamento penitenziario non è presente alcuna disposizione che ancora il riconoscimento della misura alla liceità della presenza del reo sul territorio italiano, anzi l’ eventuale esclusione dell’ affidamento in prova si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Cost..
Inoltre, non può sottacersi che la finalità rieducativa della pena ex art. 27 Cost. collegata all’istituto in esame preclude ogni forma di trattamento diseguale tra detenuti che versano in situazioni di svantaggio economico e/o sociale.