La vicenda giudiziaria scelta per la rubrica “Dialoghi Penali” affronta il tema dell’impiego di somme conseguite mediante l’erogazione di un mutuo garantito dal Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese, finalizzato ad assicurare liquidità aziendale, per scopi soltanto apparentemente riconducibili all’attività professionale.
Il mutuatario veniva indagato per il reato ex art. 316 bis c.p. ed era destinatario di un provvedimento di sequestro preventivo, anche per equivalente, dell’intero importo erogato pari ad € 340.000,00 per aver impiegato € 320.000,00 per l’estinzione di un mutuo ipotecario della moglie ed € 20.000,00 per ripianare il proprio scoperto di conto corrente.
Il Tribunale del riesame aveva disposto l’annullamento della misura reale, accogliendo le censure sollevate dalla difesa che, da un lato, aveva evidenziato che alcuna distinzione sussiste tra il patrimonio destinato all’esercizio della professione e quello personale, atteso che l’indagato era un libero professionista che svolgeva la professione di dentista e, dall’altro, l’impiego delle somme, determinando un alleggerimento della posizione debitoria, favorivano l’attività lavorativa di quest’ultimo.
La decisione è stata impugnata davanti alla Suprema Corte di Cassazione che, con la pronuncia n. 14874/2024, ha accolto il gravame, disponendo l’annullamento dell’ordinanza con rinvio davanti al Tribunale, in funzione di giudice del riesame.
Nel caso in esame veniva erogato un mutuo con garanzia statale a favore di un soggetto, libero professionista, colpito da un calo di fatturato dovuto all’emergenza Covid-19.
Giova rilevare che il d.l. n. 23/2020stabilisce che lo strumento della garanzia statale è posto al “fine di assicurare la necessaria liquidità alle imprese con sede in Italia, colpite dall’epidemia; la finalità della garanzia è stata genericamente riferita all’esigenza di garantire liquidità ai soggetti che avevano subito perdite di fatturato a causa del Covid-19; l’art. 1, lett. n) fornisce anche indicazioni in ordine alla finalità specifica della misura di sostegno, precisando che il finanziamento deve essere destinato a sostenere costi del personale, canoni di locazione o di affitto di ramo d’azienda, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia.
La disciplina dettata dalla d.l. n. 23 del 2020 deve essere letta congiuntamente a quella che regolamenta l’accesso alla garanzia prestata dal Fondo per le PMI.
La garanzia prestata dal Fondo per le PMI, in quanto diretta espressamente a facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese al credito, è per sua natura funzionale all’ottenimento di finanziamenti relativi allo svolgimento dell’attività di impresa. L’estensione dell’accesso alla garanzia del Fondo per le PMI anche a soggetti che non svolgono attività imprenditoriale, bensì professionale, non muta la necessaria destinazione del finanziamento garantito a far fronte alle esigenze dell’attività produttiva, posto che è in favore di quest’ultima che si prevede l’agevolazione.
Il finanziamento in esame, pur essendo concesso in favore del beneficiario sulla base di un contratto di diritto privato, è inserito in una cogente disciplina pubblica, in quanto è lo stesso legislatore a qualificare espressamente l’operazione di finanziamento agevolato, realizzata mediante l’intervento del Fondo centrale di garanzia PMI, come una forma di intervento pubblico nell’economia vincolata alla realizzazione dello scopo di sostegno per le imprese in crisi di liquidità per effetto della pandemia
In ragione di quanto esposto, l’ordinanza gravata è censurabile nella parte in cui ha affermato che il mutuo era stato erogato senza l’indicazione di una specifica finalità, bensì per una generica esigenza di sostegno alla liquidità aziendale. Invero, per le ragioni desunte dall’esame della normativa di riferimento, pare corretto affermare che pur a fronte dell’ampiezza della finalità della garanzia, essendo diretta a consentire il recupero della liquidità venuta meno per effetto dei mancati introiti nel periodo emergenziale, non può per ciò solo ritenersi che la destinazione delle somme mutuate fosse irrilevante o, comunque, non circoscritta all’attività professionale.
Deve ritenersi, invece, che il finanziamento ottenuto doveva essere necessariamente finalizzato all’attività professionale, nozione omnicomprensiva nella quale si possono ricondurre una molteplicità di impieghi tutti compatibili con il fine sotteso all’ottenimento del beneficio.
Censurabile è anche l’affermazione relativa alla confusione del patrimonio personale con quello patrimoniale.
L’assenza di un autonomo centro di imputazione giuridica comporta essenzialmente che il libero professionista risponde delle obbligazioni assunte con tutto il suo patrimonio, ma ciò non impedisce affatto di operare una distinzione tra beni e spese destinate all’attività professionale, piuttosto che alle esigenze personali. Quanto detto comporta che l’affermazione conclusiva del Tribunale del riesame, secondo cui il mutuo concesso per sostegno alla liquidità sarebbe stato utilizzato per estinguere debiti propri che gravavano sul professionista, non è corretta, in quanto il sostegno alla liquidità era riferito alle esigenze dell’attività professionale.