Il c.d. “piccolo spaccio” può integrare l’ipotesi lieve ex art. 73 co. 5 del D.P.R. n. 309/1990?

La Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia n. 1648/2023 ha vagliato se il c.d. piccolo spaccio da strada possa essere inquadrato nel co. 5 dell’art. 73 del D.P.R. n. 309/90.

Giova premettere che l’art. 73 co. 1 del D.P.R. n. 309/1990 sanziona “Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000” , mentre il co. 5 dell’art. 73 sanziona “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329“.

Il co.5 individua una fattispecie autonoma a seguito della modifica introdotta dall’art. 2 del D. Lgs. n. 146/2013, che trova applicazione per le ipotesi che, secondo un apprezzamento del giudice, possono ritenersi di “lieve entità”, tenuto conto di alcuni elementi specificatamente richiamati dalla disposizione.

L’indagato, protagonista del caso vagliato dalla Suprema Corte di Cassazione, veniva tratto in arresto per aver ceduto in plurime occasioni e, precisamente, in un lasso temporale di circa tre mesi, sostanza stupefacente di differente tipologia (crack, eroina e cocaina), anche avvalendosi di alcuni complici. Le cessioni riguardavano piccole dosi per importi di poche centinaia di euro.

Veniva contestata dalla Procura la fattispecie di cui all’ art. 73 co. 1 del T.U. Stup. e, al contempo, applicata la custodia cautelare in carcere.

L’istanza di riesame diretta ad ottenere la scarcerazione o, quantomeno, la sostituzione della misura coercitiva veniva rigettata, in quanto il collegio non riteneva che la condotta in contestazione potesse integrare gli estremi dell’ipotesi meno grave di cui al co. 5 del citato T.U.

L’indagato non condividendo la pronuncia del Tribunale, in funzione di giudice del riesame, decideva di adire la Suprema Corte di Cassazione, proponendo ricorso avverso l’ordinanza che aveva confermato il provvedimento del GIP di applicazione della custodia cautelare in carcere.

Il ricorso veniva accolto, con annullamento della misura coercitiva.

La Suprema Corte di Cassazione ha rilevato che l’ipotesi di cui al co. 5 del T.U. Stup. ricorre ogni qualvolta la condotta abbia un’offensività minima, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione).

La giurisprudenza ha precisato peraltro che anche se uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio.

L’accertamento della lieve entità del fatto implica, secondo costante indirizzo del Suprema Corte di Cassazione, una valutazione complessiva di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in relazione ai diversi criteri enunciati dalla disposizione.

Ebbene, con riferimento all’attività di spaccio che ha portato all’arresto, giova rilevare che era presente una ridotta circolazione di merce, tenuto conto dei quantitativi sequestrati, con correlati guadagni limitati.

Inoltre, il lasso temporale in cui era stata perpetrata l’attività di cessione di circa tre mesi era senza dubbio circoscritto.

Anche la reiterazione delle condotte e il concorso di altri due soggetti sono stati ritenuti dalla Corte non sufficienti a escludere l’ipotesi lieve.

La configurabilità dell’ipotesi più grave di cui al 1 co. avrebbe imposto, ad esempio, la dimostrazione del collegamento del ricorrente con gruppi criminali organizzati, la collaudata rete di clienti o un’ organizzazione articolata e radicata.

L’attività di spaccio appare, pertanto, per le modalità di fatto emerse a seguito dell’attività investigativa, non idonea ad arrecare quell’elevato grado di offensività richiesto per integrare la fattispecie di cui al co. 1 e, pertanto, va inquadrata nell’ipotesi meno grave di cui al co. 5.

Pubblicato da Fabio Torluccio

Mi chiamo Fabio Torluccio e sono un avvocato penalista Salerno. Iscritto all'albo degli avvocati dal 2014 e mi occupo di difesa penale e consulenza no profit.

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