L’omessa dichiarazione in una richiesta rivolta alla PA di una precedente condanna integra sempre il reato di falso ideologico?

La tematica scelta per la rubrica dialoghi penali affronta un tema molto scottante.

La vicenda vede protagonista un uomo che non avrebbe dichiarato, in occasione di una richiesta presentata alla Pubblica Amministrazione, di aver riportato, nei cinque anni antecedenti, una condanna a pena inferiore a due anni di reclusione, comminata in sede di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. e ss.

Rinviato a giudizio veniva condannato per il reato di cui all’art. 495 c.p.

La disposizione sanziona le false attestazioni rese al Pubblico Ufficiale con riferimento all’identità, lo stato o altre qualità della persona o dell’altrui persona.

La condotta suindicata è punita con la reclusione da 1 a 6 anni.

Se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile o se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all’autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome, la pena non è inferiore ai 2 anni di reclusione.

La condanna per il reato di cui all’art. 495 c.p. risultava erronea dal momento che la condotta avrebbe potuto integrare la differente fattispecie di falso ideologico ex art. 483 c.p.

La fattispecie sanziona la falsa dichiarazione al Pubblico Ufficiale di fatti di cui l’atto è destinato a provare la verità.

La pena può raggiungere i 2 anni di reclusione.

La giurisprudenza, difatti, ha affermato, in modo costante, che risponde di tale reato chi renda una falsa attestazione sostitutiva di certificazione ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, o chi sia autore di una falsa dichiarazione circa le condizioni reddituali per ottenere una tariffa agevolata per servizi di trasporto comunale ovvero chi dichiari il falso circa lo status di disoccupato al fine di ottenere l’assegnazione di un alloggio di edilizia popolare.

Non condividendo la pronuncia di condanna, l’imputato adiva la Suprema Corte di Cassazione, evidenziando che l’attuale normativa mantiene solo in capo all’autorità giudiziaria il potere, per ragioni di giustizia, di acquisire dal sistema il certificato di tutte le iscrizioni esistenti riferite a un determinato soggetto, senza i limiti della non menzione di cui all’ 175 c.p., mentre riconosce alla pubblica amministrazione e ai gestori di pubblici servizi il potere di ottenere i certificati penali, generali, civili e dei carichi pendenti, con precise limitazioni.

Gli articoli 24 e 25 del D.P.R. n. 313/2002 escludono che i nei certificati suindicati siano riportate, oltre alle “condanne delle quali è stato ordinato che non si faccia menzione nel certificato a norma dell’ 175 c.p., purché il beneficio non sia stato revocato”, anche quelle per le quali “è stata dichiarata la riabilitazione, senza che questa sia stata in seguito revocata” e ” i provvedimenti previsti dall’ 445 del c.p.p., quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, e i decreti penali” .

Peraltro, la disciplina richiamata è stata completata dal D. Lgs. n. 122/2018, che ha stabilito che colui che è chiamato a rendere dichiarazioni alla Pubblica Amministrazione circa l’esistenza di precedenti penali non è tenuto a indicare le iscrizioni riguardanti le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti ove la pena sia contenuta nel limite di due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria“.

In virtù di quanto esposto, la Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 38152/2023, ha annullato la sentenza di condanna, assolvendo il ricorrente con la formula perché il fatto non sussiste.

Pubblicato da Fabio Torluccio

Mi chiamo Fabio Torluccio e sono un avvocato penalista Salerno. Iscritto all'albo degli avvocati dal 2014 e mi occupo di difesa penale e consulenza no profit.

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