Concorso pubblico: quando la falsa attestazione del possesso della laurea è reato?

La vicenda che oggi intendo raccontarvi vede protagonista un concorsista che nella dichiarazione sostitutiva di certificazione per la partecipazione ad un concorso pubblico aveva attestato falsamente di essere in possesso della laurea in giurisprudenza.

Nello specifico, la procedura selettiva indetta dalla pubblica amministrazione per il profilo di responsabile della segretaria del vicesindaco, per la quale l’imputato aveva presentato una dichiarazione sostitutiva di certificazione allegata alla domanda di partecipazione al concorso, non prevedeva il requisito del conseguimento della laurea, ragion per cui la falsa attestazione avrebbe dovuto ritenersi inutile, secondo quanto sostenuto dalla difesa dell’imputato.

Al concorsista veniva contestato il reato ex art. 483 c.p. che sanziona, con la reclusione fino a due anni, la condotta di colui che attesta falsamente al pubblico ufficiale in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.

In primo e secondo grado veniva emessa sentenza di condanna nei confronti dell’imputato per il reato ex art. 483 c.p., ritenendo il falso idoneo ad ingannare la pubblica amministrazione.

Decisione, poi, confermata dalla Suprema Corte di Cassazione che, con la pronuncia n. 36184/2022, ha rigettato il ricorso.

Con l’atto di impugnazione veniva censurata la pronuncia di appello che non aveva rilevato la sussistenza di un’ipotesi di falso inutile, dal momento che la procedura concorsuale non prevedeva quale titolo necessario il possesso della laurea.

La decisione, tuttavia, ha escluso la ricorrenza del c.d. “falso inutile” che, peraltro, va tenuto distinto dal falso innocuo e da quello grossolano. La ricorrenza di una delle tre ipotesi preclude la punibilità del reo.

Occorre rapidamente delineare le tre categorie di falso.

Il c.d. “falso innocuo” ricorre nelle sole ipotesi in cui l’infedele attestazione (nel falso ideologico, che qui interessa) o l’alterazione (nel falso materiale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e non esplichino effetti sulla sua funzione documentale, non dovendo l’innocuità essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto.

E’ falso grossolano, cioè di quel falso che si presenti con caratteristiche di evidenza tali da risultare del tutto inidoneo ad ingannare qualsiasi soggetto. In tale ipotesi, l’azione appare perciò, secondo un giudizio ex ante e per sue intrinseche caratteristiche, inidonea in assoluto a ledere l’interesse giuridico tutelato dalle norme penali, dando così luogo al reato impossibile ex art. 49 co. 2 c.p.

E’, infine, “falso inutile, quello per il quale viene in rilievo non già il profilo della inidoneità intrinseca dell’azione, ma quello della inesistenza dell’oggetto in quanto la difforme rappresentazione cade su un atto, o su una parte di esso assolutamente privo di valenza probatoria.

La Corte ha ritenuto non sussumibile la condotta nella categoria del “falso inutile” in quanto la falsa attestazione del privato, oltre a cadere su elementi di rilievo dell’atto medesimo ovvero sul possesso di un titolo, sebbene non essenziale, aveva concretamente tratto in inganno l’ente pubblico.

Pubblicato da Fabio Torluccio

Mi chiamo Fabio Torluccio e sono un avvocato penalista Salerno. Iscritto all'albo degli avvocati dal 2014 e mi occupo di difesa penale e consulenza no profit.

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