La vicenda che oggi voglio raccontarvi vede protagonisti alcuni privati che, in plurime occasioni, avevano conferito ingenti quantitativi di rifiuti in un impianto di recupero, celando, secondo quanto emerso dalle indagini della Direzione Distrettuale Antimafia, un traffico illecito di rifiuti metallici.
La Procura, in considerazione degli esiti delle attività di indagine, contestava il reato di cui all’art. 260 del D. Lgs. n. 152/2006, riqualificato, con la pronuncia di appello, nella fattispecie prevista dall’art. 256 del Testo Unico Ambientale.
La Corte di Appello ha ritenuto che il conferimento di rifiuti non accompagnati dai relativi formulari, effettuato dai privati che erano anche gestori dell’ impianto di recupero, secondo quanto emerso in dibattimento, era operato evidentemente nell’esercizio di un’attività imprenditoriale e, pertanto, la condotta non poteva che integrare il reato previsto dal quarto co. dell’art. 256.
La disposizione prevista dall’art. 256 sanziona al primo co. chi “effettua attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescrizione, iscrizione o comunicazione…”; il quarto co. sanziona, invece, “…l’inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni”.
I ricorrenti adivano la Suprema Corte di Cassazione che, tuttavia, respingendo la tesi difensiva, in forza della quale il conferimento era stato effettuato in qualità di privati, riteneva che la condotta per la quale gli imputati erano stati condannati era pacificamente consistita “nell’avere “gestito” e “preso in carico” conferimenti di materiale non tracciabili provenienti da soggetti svolgenti attività commerciale in conto proprio o di terzi, con la consapevolezza che le dichiarazioni presentate da questi ultimi erano finalizzate esclusivamente a eludere gli obblighi di documentazione e contenevano informazioni non veritiere” (Cfr. Cass. Penale n. 33420/2021).
La condotta realizzata, invero, costituisce una precisa “deviazione” dalle modalità di esercizio dell’attività di gestione previste dall’autorizzazione, sanzionata dal legislatore dal co. 4 dell’ art. 256.